Cinofilia: Il puzzle delle origini del Segugio Maremmano

Tra i ricordi della mia gioventù, riaffiora spesso il motivetto degli 883 (Nord, Sud Ovest, Est) che tutt’ora, puntualmente, viene riproposto nelle discoteche e balere estive.
L’ispirazione di scrivere quest’articolo, mi è venuta durante la mia recente permanenza nel Corno d’Africa (più avanti capirete perché) proprio in uno di questi “locali”, sulle note di questa canzone (i gestori propongono all’estero musiche del paese di origine degli astanti, insieme alle solite frasi di accoglienza, che nel mio caso furono: “Italia mafia”, “Italia pizza”, fino all’ultima e più simpatica “Italia bunga bunga”).
Molto si è detto e scritto sulle origini del segugio maremmano, illustri testimoni hanno narrato delle sue gesta già dai tempi antecedenti le opere di bonifica della maremma toscana (Niccolini), fino al più recente libro di Ido Cipriani che racconta delle sue origini, anche attraverso numerose immagini, del cane da cinghiale usato in maremma dagli inizi del 900, passando per l’era fascista, al dopoguerra, fino ai giorni nostri. Opere esaustive che rappresentano dettagliatamente quanto è avvenuto e che sono la tangibile volontà di affermazione in Italia di questa razza sulla quale si è detto e scritto forse molto più di tante altre affermate e blasonate.
A questi trattati, si aggiungono i numerosi articoli e testimonianze di anziani cacciatori e cinofili apparsi su riviste specializzate già dagli anni 90, tra le quali vorrei ricordare quello del compianto Mario Quadri pubblicato sulla rivista “I segugi”, dove traccia la genesi del ceppo labronico esistente anch’esso già dagli anni 20 ad opera dei principi Ginori Conti di Lardarello che analizzeremo più avanti. Risulta ormai chiaro che dopo la guerra, l’eredità cinofila riguardante il “Segugio maremmano”, fu raccolta da alcuni cacciatori/allevatori amatoriali grossetani e labronici che, con non poche difficoltà iniziali, hanno comunque rappresentato lo “zoccolo duro” che ha permesso a questo cane di sopravvivere (anche se con numeri irrisori e in alcuni casi con un notevole inquinamento genetico rappresentato dall’immissione di sangue di altre razze) nel nostro bel paese.

L’articolo prosegue a pagina 36 del numero 85 di Cinghiale & Cani attualmente in edicola.